sabato 8 febbraio 2014

Provincia Granda, ma nemmeno poi così tanto

E’ la prima volta che mi dispiace andare via da quando i miei hanno traslocato. Sarà che odio quella casa ancora più incasinata rispetto a tutte le altre, sarà che mi ricordo i pianti fatti per il coglione, sarà che detesto sapere i miei lì in difficoltà, ma tornare su tra le mie montagne ultimamente è stato un supplizio. Una forzatura che speravo durasse sempre il meno possibile. Questa volta no. Ed è strano perché contrastante con le conclusioni che ho fatto sulla vita di paese. Sono nata in città e nonostante ami la natura e le cose semplici, probabilmente il ritornare tra la civiltà mi ha allontanato dal paradiso bucolico di Heidi dandomi conferma di ciò che è in realtà: una tomba. Un luogo dove tutto è statico. Nulla cambia. Le persone non cambiano, le abitudini non cambiano. Nulla viene fatto per migliorare o migliorarsi. Ci si scava una piccola fossa e dentro quello spazio angusto ci si sente al sicuro perché lo si conosce alla perfezione. Non è più questione di abitudine. E’ rincoglionimento. Perché non c’è nulla di più rimbecillente del conoscere sempre e solo le stesse persone, di frequentare i medesimi luoghi, di osservare il tempo che inesorabilmente passa, tu passi, ma attorno a te nulla si modifica. Appiattimento mentale. I miei genitori si sono lobotomizzati con la scatola nera, che più non la guardo (quasi un anno ormai) più ne rimango choccata per la nefandezza, falsità e insulsità. I miei amici, persone brillanti e dal cuore d’oro, nonostante abbiano una fossa meno profonda, sono lì, al suo interno, e non capiscono che a forza di stare lì immobili le loro onde cerebrali sono piatte quanto il mare dei caraibi a febbraio. Eppure il senso di nausea e di aria stantia sempre provato, questa volta si è accostato alla speranza. Speranza che i miei vengano via, speranza che chi amo lotti per non morire dentro. E sicuramente al calore che solo queste persone riescono a darmi e che solo riescono a far chiamare un luogo “casa”.

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