giovedì 5 dicembre 2013

Pantagruel

Riconoscere di avere un problema è già un grande passo avanti. Il non riuscire a risolverlo è di per sé il problema di un problema. Chiedere aiuto vuol dire progredire. Il non riuscire ad accettarlo è regressione. Capire quanto sia grave è positivo. Il non riuscire ad uscirne è snervante. E' il tutto insieme che alla fine mi sta fottendo. Il senso di fastidio, di impotenza, di inadeguatezza. L'assenza di un punto fermo, di un posto nel mondo di un appiglio. Mi sembra di essere ripiombata indietro di 3 anni, quando sopravvivevo a stento per arrivare al weekend e spaccarmi di 30 ore di lavoro concentrate. Mangio. Mangio come se non ci fosse un domani. Comincio e non riesco a smettere. Oddio, smetto quando i crampi allo stomaco si fanno sentire. Quando la nausea soprassale (non so se esiste veramente questo termine). Ho una fame compulsiva. Isterica. Ingrasso a vista d'occhio. Mi sto pandizzando. Sono infelice tutto qui. Molto probabilmente cerco di dare peso ad un corpo che si sente come un giunco. La cosa che mi spaventa di più è che la mia infelicità corrisponde all'apatia. Non sono triste, non piango. Incazzata quello sempre, è nel DNA. Ma sono apatica. Non ho motivazione. Non ho entusiasmo. Davvero è questa la vita? Sopravvivere ingozzandosi e aspettando che la variante X dia una scossa? O molto semplicemente quello che voglio provare fisicamente è quello che prova la mia anima: vomito.

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